Sono
all'Arsenale.
Una porta aperta e molta gente. È
il luogo dove espone Urs Fischer.
Un Ratto
delle Sabine
di Giambologna
'like a candle'.
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Quasi un souvenir da accendere nelle notti d'estate in qualche party
a bordo piscina, se non fosse per quella figura maschile, a grandezza
naturale, a cui fiammeggia l'intelletto come ai tempi
dell'Enciclopédie.
La sua sedia da ufficio che arde all'apice dello schienale...stranezze dell'arte d'oggi, dagli effetti sorprendenti. E il pubblico gradisce questo estatico tormento, trittico tra arte antica, uomo moderno diviso tra la contemplazione del sublime (il bello che si consuma o che è consumato) e l'alienazione del quotidiano ufficio/pensiero.
La sua sedia da ufficio che arde all'apice dello schienale...stranezze dell'arte d'oggi, dagli effetti sorprendenti. E il pubblico gradisce questo estatico tormento, trittico tra arte antica, uomo moderno diviso tra la contemplazione del sublime (il bello che si consuma o che è consumato) e l'alienazione del quotidiano ufficio/pensiero.
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Si
arde e ci si illumina a questa Biennale dal sapore antico.
Avevo
già avuto modo di apprezzare la potenza evocativa di Urs vedendo dal
vero l'installazione potente, evocativa, ancestrale: una
casetta di Hänsel e Gretel che
invece di essere fatta di dolci è fatta di solo pane, anzi di una
varietà cospicua di pane, simbolo di vita, che diventa tetto
(abitazione) e che si disgrega a seconda di un movimento, di
un'intemperie, del tempo.
Le
opere di Fischer come gigantesche nature morte di oggi, potenti,
evocative, ancestrali.
Autore: Giovanna M. Carli
Autore: Giovanna M. Carli
Photo
by Giodì, Giovanni Tancredi e Tafi
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