La
Biennale guarda indietro ai grandi del passato. In un momento di
incertezza planetaria è come se l'arte e la creatività si
agganciassero a ciò che di certo c'è. Innovazioni e premonizioni,
come da sempre, ma con uno sguardo più attento alla storia
dell'arte.
Bice
Curiger,
curatrice di questa 54ma Esposizione Internazionale d’Arte della
Biennale di Venezia; storica dell’arte e critica, cofondatrice
della rivista «Parkett», la terza donna a ricoprire quel ruolo dopo
il duo María de Corral-Rosa Martínez nel 2005, insieme col
presidente della Biennale, Paolo Baratta, ha fortemente voluto la
presenza di tre grandi
tele di Jacopo
Robusti (detto il Tintoretto),
veneziano che più veneziano non si può.
Nacque
e morì nella città lagunare rispettivamente nel 1518 e nel 1594,
recando memoria di un passaggio epocale. Aveva solo nove anni quando
i Lanzichenecchi compirono il sacco di Roma (1527), una tragedia
appunto epocale, così come lo è stata quella dell'11 settembre per
noi. Sono gli eventi dopo i quali niente è più come prima, quegli
eventi, insomma, che lasciano dentro di te un senso di insicurezza
permanente, difficile da togliere.
L'inaspettato,
la brutalità, i luoghi simbolo deturpati, la ferinità che sopraffà
la bellezza, tanto sangue, detriti e macerie. Rovine.
Ecco
che poi l'uomo reagisce e l'arte registra e prima ancora che qualcosa
accada, anticipa. Si sperimenta. Curiger è una storica dell'arte e
ben ha fatto, a mio parere, a cercare un dialogo tra arte
contemporanea (ma cosa vuol dire? È
forse la grande domanda a cui cerca, da sempre, di rispondere la
Biennale. Oggi più di ieri) e storia dell'arte.
La
Soprintendenza per il Polo Museale Veneziano ha capito l'intento e ha
concesso in prestito alla Biennale le tre opere ora esposte nel
Padiglione Centrale ai Giardini.
Si tratta di: L’Ultima Cena (proveniente dalla Basilica di San Giorgio Maggiore); il Trafugamento del corpo di San Marco e la Creazione degli Animali (entrambe conservate presso le Gallerie dell’Accademia).
Padiglione
Centrale Giardini
della Biennale 2010 Photo:
Giulio Squillacciotti Courtesy:
la Biennale di Venezia
|
Si tratta di: L’Ultima Cena (proveniente dalla Basilica di San Giorgio Maggiore); il Trafugamento del corpo di San Marco e la Creazione degli Animali (entrambe conservate presso le Gallerie dell’Accademia).
Tintoretto
ha dipinto il Trafugamento
del corpo di San Marco
per la Sala Capitolare della Scuola Grande di San Marco tra il 1562 e
il 1566.
La
Creazione
degli animali
è stata realizzata tra il 1551 e il 1552 per l’Albergo della
Scuola della Trinità come parte di un ciclo ispirato alle storie
della Genesi. Infine, la grande tela raffigurante l’Ultima
Cena
è stata dipinta per la Basilica di San Giorgio Maggiore, ed è una
delle sue ultime e più significative opere, dipinta quando aveva
settantatré anni, due anni prima di morire.
Una
sorta di 'summa' luminescente, con tocchi rapidi e serrati, per una
narrazione 'sui generis', di sicuro impatto innovativo.
“Questi
dipinti di Tintoretto - ha
dichiarato Bice Curiger
- uno degli artisti più sperimentali nella storia dell’arte
italiana, esercitano un fascino particolare per la loro luce
estatica, quasi febbrile, e per il loro approccio temerario alla
composizione che capovolge l’ordine classico e definito del
Rinascimento...”. “Quel Tintoretto all’ingresso della Mostra –
le
fa eco Paolo Baratta, Presidente della Biennale
- è una presenza tutt’altro che ovvia...un monito agli artisti
viventi a non indulgere nelle convenzioni!”. Si tratta, infatti, di
un tema molto caro a Tintoretto se è vero come è vero che in vita
elaborò e rielaborò numerose volte l'Ultima
Cena
di cui quella in mostra è l'ultima versione, vero riepilogo di
bravura e di trasgressione da parte dell'autore, ormai esperto sia
del linguaggio iconografico sia della tecnica tanto da poter
trasgredire e l'uno e l'altra. L'iconografia
è quella controriformata con note popolari in aggiunta: il gatto che
ruba il cibo da un cesto (in primo piano) e la fantesca che dà
l'avvio col suo braccio sinistro a una
serie di nature morte,
quasi prove di bravura del Tintoretto, ma anche utili a ricostruire
il senso del miracolo che avviene nel quotidiano, sulla terra,
durante una cena. La tecnica esperita del pittore fa sì che la scena
prenda
luce esclusivamente dalla lanterna
collocata sulla sinistra (guardando il dipinto) e dall'aureola quasi
fluorescente del Cristo. Colpi di luce come colpi di accesa passione
e un trasalimento coglie gli astanti. Il
tavolo è la vera novità della composizione
perché collocato così in diagonale è capace di dilatare lo spazio
e creare un effetto di richiamo sullo spettatore.
Per
gli artisti dell'arte d'oggi un invito a trasgredire nella regola e a
non perdere di vista la luce, vero miracolo dell'arte stessa.
L'immagine di Giovanna Maria Carli è stata scattata da Claudio Tàfani
Per le altre immagini: COURTESY LA BIENNALE DI
VENEZIA
Ne è vietata la riproduzione totale o parziale senza autorizzazione.
Nessun commento:
Posta un commento